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Il Cammino di Gerusalemme – Prima tappa, da Sebastia a Nablus

Oggi inizia il vero cammino.

Nonostante la tappa sia molto facile scegliamo di farci accompagnare da una guida.
Vogliamo parlare con un palestinese che ci racconti sia l’itinerario sia soprattutto la sua terra.

La scelta si rivela molto felice: cammineremo con Mohammed, archeologo trentanovenne di Jenin, una persona profonda e preparata.

Mohammed intuisce immediatamente il nostro interesse per la questione palestinese, e come un fiume in piena ci racconta il suo punto di vista sul conflitto e sull’occupazione israeliana.

Ne emerge un quadro angosciante, che conoscevamo solo in piccola parte.

Innanzitutto ci spiega che i territori occupati sono stati divisi in tre zone: A, sotto il totale controllo dell’Autorità Palestinese, B, sotto il controllo palestinese ma con la sicurezza in mano agli israeliani, C, sotto il totale controllo israeliano.

Il problema è che le zone C sono distribuite in modo scientifico a macchia di leopardo, in zone strategiche per il controllo del territorio, in particolare sulle alture.

Il racconto di Mohammed è straordinariamente interessante, e privo di qualunque cenno di estremismo.

La sproporzione tra le vessazioni subite dal popolo palestinese e la gentilezza e la cordialità sua e di tutte le persone che stiamo incontrando in questi giorni è così evidente che non c’è alcun bisogno di esagerare.

Ci riposiamo sotto un ulivo mentre ci prepara il te, e ci racconta che per i palestinesi l’ulivo è in albero sacro.

Per questo motivo ogni volta che i militari attaccano i territori distruggono gli uliveti…

Sempre più spesso le aree C vengono occupate da coloni, spinti dall’integralismo religioso, oppure dal fanatismo sionista, e talvolta dall’opportunismo: una singola persona con una roulotte puó occupare un’area C. Se lo fa, l’esercito è “costretto” a difenderlo, in quanto cittadino israeliano. Da quel momento il colono non pagherà più tasse, e avrà diritto a una casa pagata dallo stato.

Non serve essere maliziosi per capire che un’opportunità del genere puó attirare personaggi senza scrupoli o disperati: e ad esempio dopo il collasso dell’Unione Sovietica molti russi hanno riscoperto la loro natura ebraica e sono fuggiti in Palestina per fondare nuovi insediamenti.

Saliamo sul monte più alto della zona, dove facciamo merenda tra i resti di un convento di epoca bizantina.

Mohammed ci spiega che gli israeliani appena possono cercano di far perdere ai più giovani la memoria della nazione palestinese, ad esempio costrigendoli a usare toponimi israeliani per le città.

Vediamo in lontananza un pastore, che ci chiama per offrirci del te.

Noi lo abbiamo appena bevuto e vorremmo rifiutare, ma Mohammed ci spiega che verrebbe interpretato come un gesto scortese per le regole dell’ospitalità palestinese, e ci consiglia di accettare.

Il pastore ha un viso splendido e fiero

Arrivati a Nablus, attraversiamo montagne di discariche abusive.

Qui il problema ambientale è molto grave, perché non esistono impianti di trattamento dei rifiuti.

La città ci accoglie in un frastuono di clacson, la tipica atmosfera di una metropoli mediorientale.

Mohammed ci spiega che verso sera in una vasta zona della città il traffico viene bloccato e vige il coprifuoco: infatti la comunitá dei coloni che vivono in cima al monte che domina la città devono scendere nel centro di Nablus, scortati dall’esercito, perché devono “assolutamente” pregare sulla tomba di Joseph, figura sacra per la religione ebraica.

Durante la seconda intifada una decina di palestinesi sono stati uccisi dai cecchini mentre cercavano di distruggere la tomba.

La città vecchia è interessantissima, una stratificazione di epoche diverse, gremita da venditori di ogni genere di merci.