Movimento Lento Network

Accidenti e spiritualità: il mio cammino sulla Via Francigena

Accidenti e spiritualità: il mio cammino sulla Via Francigena

Sono partito per Viterbo il 24 ottobre, con uno zaino leggero e il Parkinson che mi cammina accanto da quattro anni. Si vede poco, ma c’è. Sara Zanni mi aveva invitato a unirmi al World Up Tour quando aveva saputo della diagnosi. Da quell’invito, quasi per simbiosi, è nato anche Senza Tremori: un gruppo di persone di Biella che del Parkinson si sono stancate di parlare solo al passato e al futuro, e hanno scelto di farlo al presente, camminando. Il gesto più semplice è diventato il più radicale.

Il World Up Tour porta avanti l’eredità di Vincent “Enzo” Simone, che aveva trasformato la malattia della madre e del suocero in una domanda: come possiamo stare meglio?

La sua risposta era fatta di cose che spesso dimentichiamo: muoversi, mangiare bene, ascoltare il corpo. Camminare, appunto. Quel testimone lo abbiamo raccolto senza proclami, come si raccoglie una cosa che si trova per terra: per senso di continuità.

Alla fine del cammino, Eileen Bencivengo – che di Enzo porta avanti la missione – ha ringraziato Sara per averci guidati, e me per la volontà.
“Sono profondamente grata e riconoscente per avervi nella mia vita e per il sapere che avete condiviso con tanta generosità e naturalezza, passo dopo passo.”

Alla fine del cammino, Eileen Bencivengo – che di Enzo porta avanti la missione – ha ringraziato Sara per averci guidati, e me per la volontà.
“Sono profondamente grata e riconoscente per avervi nella mia vita e per il sapere che avete condiviso con tanta generosità e naturalezza, passo dopo passo.”

Il Parkinson è una bestia dalle molte teste. Ogni mattina ne spunta una diversa. Non si guarisce, questo lo sappiamo tutti. Ma ci si può muovere, e il movimento rimane una delle poche cose che possono rallentarlo, o almeno rendere la convivenza meno feroce.

Poco prima di partire avevo riletto Cesare Pavese.
“O cara speranza, quel giorno sapremo anche noi che sei la vita e sei il nulla.”
Una frase che mi è rimasta in tasca durante tutto il cammino, come un sasso che pesa ma che, a suo modo, bilancia.

La Francigena è un cammino che ti obbliga alla spiritualità, anche se non ce l’hai. Non quella dei dogmi, ma quella di provare a mettere ordine negli accidenti della propria vita mentre i passi si allineano. Con me c’erano Sara e il gruppo – Eileen, Maria, Sheila, Al e Duane – e abbiamo attraversato la Tuscia, l’antica Etruria. Tufi, boschi, querce cresciute su rocce magre: paesaggi che sembrano fragili e invece resistono, come certe persone.

Durante il cammino, Eileen ci ha detto anche:

“La Road to Rome è stata molto più di una camminata. È stata un invito all’unità, alla compassione, alla comprensione reciproca di ciò che ciascuno porta sulle spalle. Enzo sarebbe stato orgoglioso dei nostri sforzi per mantenere viva la sua missione.”
Parole dette senza retorica, nel ritmo dei passi.

Abbiamo parlato del legame tra l’aumento dei casi di Parkinson e l’uso intensivo della chimica in agricoltura. Un tema che quasi nessuno vuole affrontare, ma che riguarda tutti: quello che mangiamo, quello che respiriamo, quello che entra nel sangue e nei nervi. Camminare serve anche a questo: vedere da vicino quello che di solito si ignora.

Siamo arrivati a Roma il 29 ottobre. Pochi giorni dopo era il cinquantesimo anniversario della morte di Pier Paolo Pasolini.  Nel suo articolo La scomparsa delle lucciole, Pasolini scriveva:

“Nel principio degli anni Sessanta, a causa dell’inquinamento dell’aria e soprattutto della campagna (…) le lucciole sono scomparse.”

Non parlava solo di insetti: parlava di un cambiamento umano, di un modo diverso di abitare il mondo, più sordo e più veloce. Camminando nella campagna laziale, tra boschi e tufo, mi è tornata in mente la chiusa di quell’articolo:

“Quanto a me (…) darei l’intera Montedison per una lucciola.”

Le nostre malattie neurodegenerative sono anche questo: un effetto collaterale di un mondo che consuma troppo e ascolta poco. E le “lucciole” che scomparivano sono anche le nostre energie, i nostri ritmi, la nostra salute. Camminare è un modo per tornare a cercarle. Perché, negli ultimi anni, ne vedo sempre di più.

La settimana si è conclusa in Vaticano, all’udienza del Papa. Quando ha citato il Vangelo:
“Dio è Spirito e quelli che l’adorano bisogna che lo adorino in spirito e verità,” ho capito che la frase funzionava anche per noi: ogni strada è buona se porta a un po’ di verità, anche per chi non ha fede.

E così torno a Pavese: la speranza è tutto. È un passo dopo l’altro, è una comunità che cammina insieme, è la voce di chi – come Eileen, Al, Sheila, Maria e Duane – continua a portare avanti l’eredità di Enzo.
È anche la luce piccola e ostinata delle lucciole che Pasolini temeva di aver perso per sempre.

Condividi

Condividi su facebook
Condividi su email
Condividi su whatsapp
Condividi su twitter

Condividi

Condividi su facebook
Condividi su email
Condividi su whatsapp
Condividi su twitter

LEGGI ANCHE