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L’abito fa il viandante (consapevole)

L’abito fa il viandante (consapevole)

Quando ci accingiamo a partire per un cammino, una delle prime domande che ci poniamo è: “Cosa metto nello zaino?”. È una domanda molto importante perché sbagliare l’attrezzatura e l’abbigliamento può essere un errore che pagheremo caro e con gli interessi.

Bisogna quindi avere le idee molto chiare anche nella scelta dei capi di abbigliamento che portiamo con noi: indumenti leggeri, traspiranti, termicamente performanti, facili da asciugare e durevoli sono un ottimo punto di partenza per vivere un’esperienza positiva, ma anche per lasciare meno tracce sul pianeta.

Le nostre scelte di acquisto sono infatti fondamentali per decidere del nostro futuro non solo come individui e l’abbigliamento è uno dei settori cruciali.

Secondo i rilievi dell’Agenzia Europea dell’Ambiente (2020), il consumo medio di prodotti tessili per persona in un anno nell’Unione Europea ha richiesto il consumo di 400 metri quadrati di terreno, l’inquinamento di 9 metri cubi di acqua e il consumo di 391 kg di materie prime.

Basti pensare che, per fabbricare una sola maglietta di cotone occorrano circa 2700 litri di acqua dolce: un volume pari a quello che una persona dovrebbe bere in circa 2 anni e mezzo.

Invece, i materiali sintetici sono prodotti a partire dai combustibili fossili, con le conseguenze ben note in termini di emissioni e inquinamento, ma non solo: a ogni lavaggio – soprattutto nei primi – le fibre sintetiche rilasciano microplastiche impossibili da filtrare e che si accumulano nei nostri organi (e in quelli di ogni essere vivente) a ogni respiro o sorso d’acqua. Queste si disperdono nella rete idrica e si accumulano sul fondo degli oceani: si calcola che oggi più di 14 milioni di tonnellate di microplastiche giacciano negli oceani, che equivalgono al carico di 280.000 vagoni ferroviari – un treno merci lungo circa 5.600 km, più o meno la distanza che separa Roma da Lahore in Pakistan.

Le cifre sono impressionanti e l’industria dell’abbigliamento oggi contribuisce per circa il 20% dell’inquinamento delle acque mondiale e per circa il 10% delle emissioni carboniche, più che la somma delle emissioni di tutti i voli internazionali e i trasporti marittimi.

Un inquinamento che non sparirà

Tra il 2000 e il 2015 la produzione di abbigliamento è raddoppiata ma il ciclo di vita dei capi è diminuito del 36% e oggi in media i cittadini europei consumano quasi 26 kg di prodotti tessili a testa, gettandone circa 11 kg.  I tessuti sono poi lentissimi a degradarsi e non tendono ad accumularsi solo sul fondo di cassetti o nelle famose cabine armadio: il caso più famoso è quello della discarica illegale di vestiti che ha invaso il delicatissimo ecosistema del deserto di Atacama in Cile: una duna di vestiti usati che pesa circa 40.000 tonnellate (40.000 elefanti) composta per lo più da capi sintetici che impiegheranno anche 200 anni a decomporsi in modo naturale.

Differenziare e donare i capi usati

Il cambiamento deve quindi partire in primo luogo dalle nostre scelte. Uno dei problemi principali riguarda lo smaltimento e il riciclo dei materiali, quindi differenziare correttamente gli indumenti che non utilizziamo più o donarli a progetti di solidarietà, in modo da alimentare un’economia circolare, è il primo passo.

Comprare meno e comprare meglio

Tuttavia, è importante anche fare caso alle nostre abitudini di acquisto: si stima che, per invertire la tendenza dovremmo limitarci all’acquisto di massimo 3 capi di abbigliamento a testa ogni anno e nel farlo è oggi imperativo scegliere indumenti durevoli e realizzati con materiali e procedimenti rispettosi dell’ambiente. In questo modo, contribuiremo sia a ridurre la quantità di rifiuti prodotta ma daremo anche un messaggio chiaro ai produttori. Insomma, la seconda domanda che dobbiamo porci deve diventare: “Questa maglietta nuova mi serve davvero?”.

Sono sempre più diffusi anche gli studi che analizzano le catene di produzione e i mezzi di approvvigionamento delle materie prime. Leggere le etichette cercando i prodotti con il marchio “EU-Ecolabel” e PFC-free è un’abitudine che permette di sostenere le aziende che hanno avviato una conversione a prodotti di qualità per i consumatori e per la nostra salute.

Molti produttori si stanno anche impegnando in progetti di recupero e rigenerazione dei capi usati per avviare meccanismi di economia circolare virtuosi.

Ma attenzione a non lasciarci indurre in tentazione: la cosa migliore che possiamo fare per il pianeta è garantire una lunga vita ai nostri capi di abbigliamento resistendo alla tentazione di sostituirli prima del tempo con un nuovo modello anche se “più sostenibile”.

Pillola di sostenibilità

Prima di acquistare il prossimo capo di abbigliamento tecnico, controlla sempre l’etichetta e scegli sempre indumenti durevoli e rispettosi dell’ambiente.

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